A molti di voi sarà capitato almeno una volta di effettuare un viaggio in treno in carrozze stracolme, in piedi, magari, tra un vagone e l’altro.
I miei ricordi di studente universitario comprendono, tra l’altro, viaggi su ‘treni per pendolari’ riempiti come carri bestiame, su tratte, generalmente, medio-brevi.
Negli anni queste situazioni non sembrano essere migliorate, ma, incredibile, dallo scorso inverno, le nostre amate ferrovie, ci bombardano con spot televisivi (di dubbia qualità ma immagino di indubbio costo) che ci vorrebbero far ricredere sull’efficienza dei nostri treni grazie a viaggiatori entusiasti che cantano felici neanche fossero alla Scala (a distanza di oltre 15 anni ricordo solamente delle attempate signore cantare l’url del sito treeeenitaaaliaaaa-punto-cooooom! e tuttora non riesco a trovare lo spot).
Quanto segue é la testimonianza di ciò che é successo la notte del 4 agosto 2001 sulla tratta Bologna – Monaco di Baviera.
Per una sfortunata coincidenza non degna di rilievo, ci ritroviamo a dover rinunciare alle cuccette da tempo prenotate, e saliamo sull’Espresso [ooops, adesso lo chiamano EuroNight 🙁 ] Napoli – Monaco che parte da Bologna alle 1.30 circa.
Non ancora sul treno ci rendiamo immediatamente conto di quello che sarà il nostro viaggio. Gli angusti spazi che dividono la zona bagno dagli scompartimenti sono stipati di viaggiatori in piedi e bagagli, e, a fatica, riusciamo a salire e ad occupare una posizione degna. Una volta poggiati gli zaini (nella ‘terra di nessuno’ tra un vagone e l’altro) notiamo come i corridoi si siano trasformati in realtà in terribili dormitori, dove molti nostri sventurati compagni di viaggio cercano di riposare, stesi per terra tra immondizia, rivoli di liquidi fuoriusciti da bottiglie o lattine rovesciate, e altrettante borse e valigie. Un signore sulla sessantina, che cerca di riposarsi poggiando la testa sulla propria borsa, ci racconta che questa situazione si é creata già a Roma; nel frattempo, scavalcando teste e gambe, parte una processione che, a turno, porta bisognosi viaggiatori verso i bagni.
Il sottoscritto, pazientemente e in piedi, cerca di trovare una posizione di relax che possa reggere il più a lungo possibile. Noto nel vagone a fianco una turista straniera che non ha trovato di meglio che sedersi sul proprio trolley e, ai sui piedi, una madre cerca di proteggere alla meglio il piccolo figlio che sta dormendo su un materasso di indumenti preparato con amore dai genitori.
La situazione peggiora quando a Verona, a fronte di un paio di ‘addii’, salgono sul vagone una decina di nuovi compagni di viaggio. Le sigarette fumate non si contano.
A Bolzano qualcuno finalmente scende e alcuni fortunati riescono a migliorare la propria situazione, ma solo l’arrivo a Monaco (dopo 7 ore di viaggio per noi), accompagnato dalla luce del giorno, ci libera da quest’inferno.
Questo é tutto. Mi sono venute in mente le immagini dei treni dell’India o di un qualche altro paese del terzo mondo. Mi chiedo se sia possibile trattare esseri umani in questo modo, mi chiedo se questi poveri sventurati vengano considerati esseri umani, mi chiedo cosa costi alle ferrovie aggiungere un paio di vagoni, peraltro già abbondantemente pagati da tutti gli sventurati su quel treno, mi chiedo come possano le ferrovie far finta di nulla in periodi così critici e sicuramente monitorati negli anni.
E mi chiedo, infine, come sia possibile la rassegnazione che ho visto negli occhi di tutti i miei occasionali compagni di viaggio.
Non é forse ora che chi paga e, sostanzialmente, permette la sopravvivenza delle ferrovie, si faccia sentire e faccia valere i propri sacrosanti diritti?
La foto a corredo dell’articolo ancora di più testimonia quanto sopra scritto.
Chiedo a voi che leggete di divulgare questa mail, perché si prenda coscienza di un problema che, seppur minore rispetto a mille altre situazioni, non deve esistere in una nazione che si definisce ‘civile’ e ‘industrializzata’ e membro del G8.
[Mail inviata il 24 agosto 2001 al termine di un viaggio che mi portò prima a Berlino poi a Zurigo, alla mia prima Street Parade. C’era un clima particolare nel paese, e un desiderio di “spaccare il mondo” mi pervadeva: circa un mese prima erano accaduti i fatti del G8 di Genova e ancora non erano successi quelli dell’11 settembre. Da lì a poco il mondo non sarebbe stato più lo stesso.]
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